Sergio Frusoni




Sergio Frusoni



Dati Biografici

Sergio Frusoni poeta italo-capoverdiano nato il 10 Agosto del 1901 nella città di Mindelo nell’ isola di S.Vicente che fa parte dell’ arcipelago di Capo Verde all’ epoca colonia portoghese ma dal 1975 diventò repubblica indipendente. Figlio di genitori italiani Giuseppe Frusoni commerciante di corallo e di Erminia Bonucci . Hanno vissuto a Mindelo . Giuseppe Frusoni era in società con Pietro Bonucci fratello della moglie. A Capo Verde Sergio Frusoni ha frequentato gli studi sino alla quarta elementare. Allora il padre l’ha mandato insieme al fratello Emanuele in un collegio in Italia. In collegio erano spesso picchiati il padre gli ha fatti tornare a Mindelo. Ancora giovane ha lavorato alla Western Telegraph Company come telegrafista. Dopo un periodo di lavoro ha lasciato l’impiego per aver litigato con un collega inglese. Nel frattempo lui aveva raggiunto l’età del servizio militare. Allora il padre l’ ha mandato in Italia. A Livorno ha conosciuto Mary Carlini con la quale sposò il 26 Giugno del 1924. Nel 1925 Sergio Frusoni torna a Mindelo con la moglie. Nello stesso anno è nata la prima figlia Lilia.
Sergio Frusoni ha trovato lavoro nella compagnia italiana Italcable concorrente della compagnia inglese Western Telegraph. Nel 1931 ottiene il trasferimento ad Anzio, e dopo un anno circa trasferito a Roma. Nel 1932 muore la figlia Lilia. Sergio Frusoni e consorte hanno avuto ancora quattro figli: Franco, Giosanna e Mario sono nati a La Spezia e l’ ultimo Fernando a Roma.
Scoppia la seconda guerra mondiale e Sergio Frusoni entra a far parte dell’esercito italiano. Prigioniero è internato in un campo di concentramento americano a Coltano. Nello stesso campo c’era prigioniero anche il figlio Franco ancora minorenne. Liberati alla fine della guerra padre e figlio si sono incontrati.
Nel 1947 Sergio Frusoni e famiglia sono partiti da Genova per Capo Verde passando da Lisbona.
A S.Vicente sono stati accolti dallo zio Pietro Bonucci nella sua casa. Sergio Frusoni ha lavorato aiutando lo zio nel suo negozio.  Col tempo era riuscito a essere padrone di un caffè di nome Caffè Sport. Fortunatamente qualche tempo dopo è entrato a lavorare di nuovo all’Italcable che era stato chiuso nel periodo della seconda guerra mondiale perché gli inglesi avevano tagliato il cavo sottomarino. Ha lavorato fino al 1964 andando in pensione.  E’ partito nel 1966 per l’ Italia - Genova insieme alla moglie dove sono rimasti fino al 1971. Sono ripartiti di nuovo per l’isola di S.Vicente e nel 1974 sono andati a Lisbona a casa del figlio Franco dove nel 1975 è deceduto.

Altri Dati

Uomo di rara sensibilità ha osservato la società di Mindelo descrivendola con maestria in poemi utilizzando il creolo di S.Vicente. Ha scritto anche dei poemi in portoghese, inglese e italiano.
Molti dei poemi suoi sono riuniti nel libro di Dott. Augusto Mesquitela Lima con il titolo in portoghese “ A Poética de Sergio Frusoni - Uma Leitura Antropologica “ una edizione del Instituto de Cultura e Lingua Portuguesa e Instituto Caboverdiano do Livro e Disco, 1992.
Ha fatto la libera traduzione del libro “ Er Vangelo Seconno Noantri! “ di Bartolomeo Rossetti scritto nel dialetto romano nell’idioma Capoverdiano “ Vangêl Contód d’nôs Móda “ una edizione della “ Terra Nova “ S.Filipe-Fogo e finito di stampare nel 1979 Grafica e stampa: Comunicazione s.n.c. Bra ( Cn )
Ha scritto dei racconti come Ti Karanga e Mari Matchim facendo parte del “ Mosaico Mindelense” che sono stati trasmessi alla Radio Barlavento di Mindelo.
Utilizzando la musica di “ Manché “ ha scritto le parole di un’operetta musicale di nome“ Cuscujada “ recitata dal figlio Franco in teatro con il Congiunto Scenico Castilhano. Ha offerto anche alcuni monologhi allo stesso Congiunto.
Nell’ambito musicale ha scritto le parole e ha composto la musica della morna
( musica tipica di Capo Verde ) “ Tempe d’ caniquinha “ , la morna “ Ó Maria Hortensa “ e ancora una marcia che la banda municipale suonava nella piazza principale di Mindelo.
All’età di cinquantadue anni dedicò il suo tempo libero alla pittura . Ha dipinto vari quadri tra cui un ritratto de Papa Giovanni XXIII e uno di Kennedy. Ha dipinto anche quadri con figure tipiche di Mindelo, ritratti della moglie e di una nipote.

Genova, 8 Novembre 2012
Fernando Frusoni

Dr. Augusto Mesquitela Lima nel libro " A Poetica de Sergio Frusoni " ha scritto alcuni dati biografici su Sergio Frusoni )



Poesie, Sonetti, Morne

( Le poesie, le morne e i sonetti sono stati tradotti da Fernando Frusoni )



PRESENTACÔM

Bôcês dóme licença. M’ bem li pagá
um dívida d’ sôdade e d’ amôr.
E cma sôdáde e amôr ê amigue d’ cantiga,
bôcês longáme um violão: m’ crê cantá!


Sim, cantá. Nêsse toada d’ nóssa:
ora triste, ora contente…
consôante coraçôm mandá!...


Quem mi ê? Um fidje de Sanvcênte.
Nascide, crióde, lá na Ponta d’ Praia.
Lá onde que mar ta sparajá debóxe de bôte,
móda barra dum sáia.


Cs’ ê que m’ crê? Cantá nha terra!
Companhal na sê dôr;
na nôbréza d’ sê alma;
na pôbréza d’ sê vida!


Dzêl na hóra d’ spedida:
“ Alí nha côrpe: strumá bô tchôm!
Alí nha sangue: regá bô midje!
Armôm: alí bô armôm!
Mãi: alí bô fidje!...

Sergio Frusoni

PRESENTAZIONE

 Permettetemi. Sono venuto qui a pagare
un pegno di nostalgia e di amore.
E come la nostalgia e l’amore sono amici della canzone,
datemi una chitarra: voglio cantare!

Si. Cantare. In questa nostra intonazione:
a volte triste, a volte allegra …
dipende da ciò che comanda il cuore!

Chi sono io? Un figlio di S.Vicente.
Nato, cresciuto, là nella Ponta de Praia. (1)
Là dove il mare si distende sotto le barche,
come il bordo di una gonna.

Che cosa voglio? Cantare la mia terra!
Accompagnarla nel suo dolore;
nella nobiltà della sua anima;
nella povertà della sua vita!

Dirgli nell’ora dell’addio:
“ Ecco il mio corpo: concima la tua terra!
Ecco il mio sangue: irriga il tuo mais!
Fratello: ecco il tuo fratello!
Madre: ecco il tuo figlio!...”


  1. Località vicino al mare


CARTA D’ ANGOLA

--- Compáde cô’ licença, ‘cê lême êsse carta…
‘Cê sabê nunca m’ tive na scóla…
Ê Muchim que ti ta screvême.
--- Ond’ ê qu’ êl’ tá?
--- N’ Angola…
--- Um terra farta!
Bocê dáme… bocê tcháme oiá…
Uhm!... Uhm!...
“ Nha amôr queride”…
--- Ê assim qu’êl pô?...
--- Ê assim.
Ma, ‘cê stóde calóde,
m’ ta oiá pôco e sê létra ê rúm…
--- Létra de Muchim, compáde? Ôme crêde!...
--- Máu…
M’ sabê qu’ êl tchgá fazê
sê segunde grau,
ma’ l’ havia d’ stóde sentide…
S’ cmáde crê pa’ m’ continuá ta lê,
nha prestóme tênçôm:
nha ftchá bóca e nha abrí uvide.

--- Sim, compáde, ‘cê tem razôm…
--- Uhm!...Uhm!...
“Nha amôr queride “
M’ ta desejóbe saúde,
juntamente que Djunga, Nhônhô,
ma tude nôs gente…
M’ tive bôa viája, graças a Dêus.
Sô sôdade ê que ta maguóme tud’ óra:
Sôdade de bô, sôdade de nôs fidjim,
Sôdade de Sanvicente…
Nada más por agóra.
Um braça, um bêje
e um proméssa cérta.
“ Muchim… “
--- Ê assim qu’ êl pô?
--- Ê assim.
--- ‘Cê tcháme oiá…
--- Bô ca sabê lê…
--- Ca ta fazê nada…
--- M’ crê bêjá sê palavra… “bêje”…
M’ crê tchorá… na papêl d’ sê carta…

Sergio Frusoni


LETTERA DALL’ ANGOLA

--- Permesso compare, mi legga questa lettera…
Lei sa, non sono mai stata a scuola…
È Muchim, che mi scrive.
--- Dove sta?
--- In Angola…
--- Una terra ricca!
Me la dia… mi faccia vedere
Uhm!...Uhm!...
“ Mio caro amore”…
--- È così che lui ha scritto?...
--- È così.
Ma lei stia zitta,
ci vedo male e la sua calligrafia è pessima.
--- La calligrafia di Muchim, compare? Ma cosa dice?
--- Ma…
So che è riuscito a fare la seconda elementare,
ma si vede che era commosso…
Se la comare vuole che continui a leggere,
presti attenzione:
chiuda la bocca e apra le orecchie…

--- Si compare, ha ragione…
--- Uhm!...Uhm!...
“ Mio caro amore”
Ti auguro buona salute,
insieme a Djunga, Nhonho,
e tutta la nostra gente…
Ho fatto un buon viaggio, ringraziando Dio.
Solamente la nostalgia mi fa male ogni momento:
Nostalgia di te, nostalgia del nostro figlioletto,
nostalgia di S.Vicente.
Nient’altro per adesso.
Un abbraccio, un bacio,
e una promessa sicura.
“ Muchim “
--- È così che ha scritto?
--- È così.
--- Mi lasci vedere…
--- Ma non sai leggere…
--- Non fa niente…
Voglio baciare la sua parola… " bacio" …
Voglio piangere sulla carta della sua lettera…





TUDE FCÁ PÓGUE

--- Ôme… Bô deletá!...
Bô tême li ta fervê,
dês plu manhá,
móda um chalera na bráza!...
Ê que bô qu’ m’ ti ta falá,
Jóna! Respondê:
Êl cá tá na casa?...

--- Largóme da môm, Josê!...
--- Pa m’ largóbe da môm? Tem gráça!...
M’ ta lí metide,
sem podê bá pa Praça,
sem um cigórre, sem tstôm!...
Pa m’ largóbe da môm!...
Csê quêl qu’ m tinha bô pedide,
ahn? Dzê, sua dêsáforáda?
De bô basse falá ma dône d’ casa.
Mas nada!...

--- E… quem dzêbe cma m’ ca bá?...
--- Ahn!... Bô bá!... E… êl recêbêbe?...
Sim?... Já bô oiá?... M’ ca dzêbe?...
S’ era mim que ta bá, êl ta tratóme
móda catchôrre d’ lancha!...
C’ bô foi ôte côsa, dzê:

Êl oiá um mdjêr…
Um bôa pantcha…
E… csê quêl dzêbe?
Ahn? Pa bô voltá más lôgue…
--- Não. Ca mestê… Tude fcá pógue…
--- Tude fcá pógue?...ôme côme!
Êl ca falóbe na dnhêr?...
Êl… ca intentóbe?.. Êl ca … pedibe?...
--- NNNNão… êl ca pedí…
--- Ahn… bôm!...
Ma … tchgá li!...
Csê que bô ti ta fazê sentóde
d’ perna raganhóde
róda daquêl fôgôm?...
--- Nada… M’ ti ta sêcá recibe…

Sergio Frusoni




TUTTO È STATO PAGATO

--- Diamine! Hai ritardato!
Mi tieni qui a bollire,
da questa mattina
come una teiera sulla brace!...
È con te che sto parlando,
Jona! Rispondi:
Lui non c’era in casa?...

--- Lasciami in pace!... José!...
--- Ti devo lasciare in pace? C’è da ridere!...
Sono bloccato qui,
senza poter andare alla Praça, (1)
senza una sigaretta, senza un centesimo!...
Lasciarti in pace!...
Cos’è che ti avevo chiesto,
Ehm! Dimmi, svergognata?
Che tu fossi andata a parlare con il padrone di casa.
Niente più!...

--- E chi è che ti ha detto che non sono andata là?
--- Ehm!... Sei andata!... E… ti ha ricevuto?
Si?... Hai visto?... Te l’ avevo detto?...
Se fossi andato io, mi avrebbe trattato
come un cane randagio!...
Con te è stato un’altra cosa, dillo:

Lui ha visto una donna…
Un’attraente ragazza!
E… cosa ti ha detto?
Ehm? Di ritornare più tardi?…
--- No. Non c’è bisogno… tutto è stato pagato…
--- Tutto è stato pagato? Diamine, come?!
Lui non ti ha parlato dei soldi?...
Lui ti ha tentato?... Non ti ha… chiesto?...
--- NNNNo… non ha chiesto…
--- Ehm… bene!...
Ma … vieni qui!...
Cosa fai li seduta
con le gambe aperte
vicino al fornello?...
--- Niente… sto asciugando la ricevuta…


  1. Una piazza di S.Vicente che si chiamava Praça Nova prima della indipendenza.



    FESTA D’ QUANDE NÔS ÉRA MNINE


    Natal! Fésta pa tude mnine!

    Tê pa quês coitóde que tá trá cuncluta.

    Natal! Dia grande, sagróde!

    Ôte mnine tá nascê num gruta,

    na mei dum burre ma dum bôi,

    e uns Rei, montóde na cavól,

    tá bem de longe salval, guióde p’ um stréla…



    N’ Igreja, tchêu de flôr, tchêu de véla,

    nô tá bá uvì nhô padre cantá:

    “ Glória na Cêu, paz na terra,

    pa gente de bôa vont́áde …”



    Casa d’ Vôvô tá intchi de parente:

    --- era fidje… era nête… era biznête … ---

    Vôvô má Nhánha tá spiá pa ês contente,

    feliz de sês união, feliz de sês crênça,

    que sabia perdoá tude falta, tude ofénsa…



    Nôte de San Silvestre!

    Apite, bomba, fôguête!...

    Sentóde róda de méza,

    naquêle moléza de barriga fórte,

    naquêle sabura de nôs casa quênte,

    nô tá sintì péna daquês mnine, coitóde,

    lá fóra na rua, tá cantá na vênte:

    “ Racordai aquêle que tá na sône,

    que lá vem uma trópa e ê real!...



    Cantiga tá afastá:

    vênte tá trazêl, tá torná leval…

    tá sumil na nôte…

    D’ alí a nada, alá Toi ma Zéca

    debangóde cabéça tá pescá bidiom…

    Bia ma Zinha ma sês bonéca

    tá bá pa cama levóde na côle…

    Vôvô ma Nhánha tá procurá lençe de môm

    pa sucdì d’ ói quêl ága que tâ teimá na bem…



    Quónte assim…

    Cs’ é quêl?... Candêr que já cabá pitrôle…

    Vôvô tá levantá:

    “ … Na nôme de Pái, de Fidje, de Sprite Sônte, Amên…”

    E nô tá bá detá…



    Sergio Frusoni


LE FESTE DI QUANDO ERAVAMO BAMBINI

Natale! Festa per tutti i bambini!
Anche per quei poveracci che vanno
per la strada nudi a fare capriole.

Natale! Grande giorno, sacro!
Un altro bambino nasceva in una grotta,
tra un asino ed un bue,
e dei Re, montati a cavallo
venivano da lontano a salutarlo guidati da una stella…

In chiesa, piena di fiori, piena di candele,
andavano a sentire il prete a cantare:
“ Gloria in cielo, pace in terra,
per la gente di buona volontà…”

La casa del Nonno si riempiva di parenti:
--- C’ erano i figli…c’ erano i nipoti…c’ erano i pronipoti…---
felici della loro unione, felici della loro fede,
che sapeva perdonare tutti gli errori, tutte le offese…

Notte di San Silvestro!
Fischi, petardi, razzi!...
Seduti intorno al tavolo,
con quella lentezza da pancia piena,
con quel piacere della nostra casa calda,
sentivamo pena per quei bambini, poveracci,
là fuori per strada, a cantare al vento:
“ Svegliatevi a chi sta dormendo,
che sta arrivando una truppa, ed è la Reale!...

La canzone si allontana:
il vento la portava , e la riportava via…
si disperdeva nella notte…
Poco dopo, ecco Toi e Zéca
con la testa inclinata abbioccati …
Bia e Zinha con le loro bambole
andare a letto portate in braccio…
Nonno e Nonna alla ricerca del fazzoletto
per scrollare dagli occhi quell’ acqua che intestardisce ad apparire…

Con questo…
Cosa c’ è?...Il lume ha finito il petrolio…
Il Nonno si alzava:
“ In nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, Amen… “
E andavamo a dormire…



(" Tempe d'caniquinha " non è una poesia, ma una morna scritta e musicata da Sergio Frusoni.)

TEMPE DE CANIQUINHA

Sanvecente um tempe era sabe
Sanvecente um tempe era ôte côsa
Cónde sês mudjêr ta usába
Um lenço e um xaile cor de rósa
Um blusa e um cónta de coral
Cónde na sês bôi nacional
Tá mornód tê manchê
Cónde sem confiança nem abuso
Tá servid quel cafê
Má qu’ êl ratchinha de cuscus.

Cónde pa nôs Senhóra da Luz
Tinha um grande procisson
Cónde ta colóde Santa Cruz
Ta colóde pa Sam Jon
Lá na rebera d Julion
Cónde ta cutchide na plon
Tá cantá na porfia
Cónde tá tchuveba e na porte
Ta vivide que mas sorte
E que mais aligria.

Pove ca ta andá móda agóra
Na mei de miséria tcheu de fome
Ta embarcá ta bá’ mbora
Sem um papel, sem um nome,
Móda um lingada de carvon
Era colheita na tchon
Era vapor na bahia.
Oh Sanvecente daquês dia
Atê góte de Manê Jon
Tá ingordá na gemáda.

Lá pa quês rua de moráda

Era um data de strangêr
Era um vida folgáda
Ciçarône vida airáda
Ta nadaba na dnhêr.
De nôte sentód na pracinha
Um ta partí gonhassin…
Pa mim pa bô, pa mim,
Pa mim pa bô, pa mim
Era tempe de caniquinha…
Sergio Frusoni


TEMPE D’ CANIQUINHA (*)

Un tempo a S.Vicente si stava bene.
Un tempo a S.Vicente era tutt’altra cosa.
Quando le sue donne usavano
un fazzoletto (1) ed un scialle color rosa,
una blusa ed una collana di corallo.

Nei loro balli nazionali,
mornavano (2) fino all’alba,
e senza sfrontatezza e ne abuso
veniva servito il caffè
e quella fettina di cuscus. (3)

Per Nossa Senhora da Luz (4)
C’era una grande processione
si colava (5) per Santa Cruz ( Santa Croce )
si colava per Sanjôm( S.Giovanni)
là nella Ribêra de Juliôm (6).

Quando si batteva il mais nel pilôm (7)
si sfidavano cantando.
Quando pioveva e in porto
si viveva con più fortuna
e con più allegria.

Il popolo non viveva come adesso
In mezzo alla miseria e affamato.
Non s’imbarcava per andare via,
senza un documento, senza un nome,
come un pezzo di carbone.

C’era il raccolto nei campi;
C’erano le navi nella baia.
Oh S.Vicente di quei giorni,
persino Gôte Manejôm (8)
ingrassava con lo zabaione.

Là per le vie del centro,
c’erano tanti stranieri ( turisti )
era una vita agiata
cicerone una vita sregolata,
nuotava nei soldi.

Di notte seduti nella piazzetta
subito si divideva..
Uno per me , uno per te e uno per me.
Uno per me, uno per te e uno per me,
Era tanto tempo fa.


(*) Un tempo che si viveva bene a S.Vicente
1. Fazzoletto per la testa
2. Verbo derivato dalla parola Morna che è una musica tipica capoverdiana
3. Fatto di farina di mais e cotto a vapore.
4. Nostra Signora della Luce patrona di S.Vicente
5. Dalla parola “ colar “ che è una danza ritmica ballata fra donne che si scontrano con il      ventre.
6. Località nell’entroterra di S.Vicente
7. Un mortaio grande fatto di pietra o di legno dove il mais veniva tolta la pelle
 ( crusca ) con un pestello in legno a forma di un bastone di circa un metro.
8. Un personaggio tipico di S.Vicente




NHA CORACÔM

Nha coraçôm ê dum rapaz de vint’ óne:
êl ta rí, êl ta tchorá, consoante êl crê.
Se dá ‘l pa cantá, êl ê italióne,
pa quêl sangue qu’êl herdá quand’ m’ nascê:

Se dá ‘l pa tchorá, êl ê caboverdióne:

sempre que sentide na pôbre ma na quem podê,
pronte pa ta caí nun qualquer engóne,
levóde pa sê confiança e sê bôa fê.

El ca tem socegue, êl ca tem provêite!

De vez em quande êl ta pulóme na peite:
m’ ta pô ta screvê e… alá ‘l contênte!...

Ma ôtrundia êl bem c’ atrevimente,

e cma m’ tchmal pa órda e pa ruspêite,
êl vrá pa mim êl dzê: “ BEDJE RABUJENTE “!...

Sergio Frusoni


IL MIO CUORE
Il mio cuore è di un ragazzo di venti anni:
Ride, piange, dipende da come vuole lui.
Se gli va di cantare, lui è italiano,
per il sangue che ha ereditato quando sono nato:

Se gli va di piangere, lui è capoverdiano:
sempre con il pensiero al povero, e in quelli che possono,
pronti a cadere in qualche inganno,
portato per la sua fiducia e buona fede.

Non ha tranquillità, non ha profitto!
Ogni tanto si scuote nel petto:
Mi metto a scrivere e … pronto, eccolo contento!

Ma l’altro giorno, si è comportato con impertinenza,
e come l’ho richiamato ad aver più rispetto,
si è rivolto a me e ha detto: “ VECCHIO BRONTOLONE “! ...



NHÂ CHICA
Nhâ Chica ti ta mostrá cmade Cacóme,
rátróte d’ sês fidje: --- Êsse ê Djodje,
fidje d’ Lucas, um magála q’’ tá tratóme
bem, ma q’ bá morrê pra lá… n’ Açores…

Êsse ê Putche, Jack, sê pái, ê quêl q’ largóme
pa bá vivê ma Bia, sem nium ramôrse.
Êss’ ôte ê Abêl, fidje d’ Jô, q’ scapá d’ matóme
um dia qu’ m deletá d’ leval almôce…

E êsse pstide de mascra, ê Liz, que m’ tive ma Andrê.
Andrê era corcunda e êl era máu,
êl ta andá sô fusc e ta crê dáme de páu…

--- E quêl? --- Cacóme perguntal --- que bem morrê
antes d’ bô imbarcasse ma Jack pa San Niclau,
quêm ê sê pái? --- Pái d’ Pitra?... A mô… já m’ squecê…

Sergio Frusoni



SIGNORA CHICA ( Scica )
La signora Chica sta mostrando alla comare Cacóme,
i ritratti dei suoi figli: --- Questo è Djodje,
figlio di Lucas, un magála (1) che mi ha trattato
bene ma che è andato a morire là … nelle Azzorre …

Questo è Putche, Djack suo padre, è quello che mi ha lasciata
per andare a vivere con Bia, senza nessun rimorso.
Quest’ altro è Abel, figlio di Jo, che c’ è mancato poco che mi uccidesse
un giorno che ho ritardato a portargli il pranzo …

E questo mascherato, è Liz, che l’ ho avuto con Andrê.
Andrê era gobbo ed era cattivo,
era sempre ubriaco e a volermi picchiare…

--- E quello? --- ha chiesto Cacóme --- che è morto
prima che tu imbarcassi con Djack per San Nicolau,
chi era suo padre? --- Il padre di Pitra?... Ahimè … non mi ricordo


1. Un militare coloniale



ÊSS TOADA DE NOSSA

Cá besôte pedí vêrse d’ toáda dôçe
pa quem sô têm fêl pa ta vendê.
Nôs fála ê despide, nôs fála ê insôsse,
ma êl ê, tal qual êl ê.

Sê nô consiguisse massá na pêite
salitre ma sentimênte,
sê nô consiguisse expressá c’ más gête
nôs dôr ma nôs sufrimênte.

Ma nô ca têm más do que pôesia


catóde na nada,
que há-de sirví talvêz, pa inspirá um dia,
êsse rapaziada.

Ca besôte pêdí vêrse d’ toáda dôce
pa quem sô têm fêl pa ta vendê.
Nôs fála ê despide móda um carôçe:
“ Quêl que nô crê, e quêl que nô ca crê…”
Sergio Frusoni



QUESTA NOSTRA INTONAZIONE

Non chiedete versi d’intonazione dolce
per chi ha solo del fiele da vendere.
La nostra parlata è nuda, la nostra parlata è insipida,
ma è, tale quale lei è.,

Se conseguissimo mischiare nel petto
salnitro e sentimento,
se conseguissimo esprimere più bene
il nostro dolore e la nostra sofferenza,

ma non abbiamo altro che la poesia
presa dal niente,
chissà se servirà, ad ispirare un giorno,
questa gioventù.

Non chiedete versi d’intonazione dolce
per chi ha solo fiele da vendere.
La nostra parlata è nuda come un nocciolo:
“ Quello che vogliamo, e quello che non vogliamo “…




IGREJA D’ NOSSIÓRA DA LUZ

Dalí ond’ ê que m’ tá
m’ ti t’ oióbe, nha Igrejinha:
semp caiadinha d’ brónc
por dentre e por fóra,
semp ta figurá,
embora bidjinha!

Na spiá pa bô,
pa quel bô cruz prête
erguide pa cêu;
n’ uví bô sine tocá dia e nôte,
bódzê voz d’ nôs destine:

--- Ē lá, diant d’ bô altar
que nha pai ma nha mãi casá um dia,
ê lá, na aga d’ bô pia
ê quê’ s butzóme cristôm ---

M’ ta sinti purá, vrá limp cma bô,
por dentre e por fóra,
e m’ ta pô asa, e m’ ta sbí,
ma som d’ bô sine num réza,
pa tud aquês que já bá
e que largóne pra lí…


LA CHIESA DELLA NOSTRA SIGNORA DA LUZ

Da dove mi trovo,
ti vedo, Chiesetta mia:
sempre tinteggiata di bianco
dentro e di fuori,
fai sempre bella figura,
nonostante vecchietta!

A guardare te,
per quella croce nera
innalzata verso il cielo;
nel sentire la tua campana suonare giorno e notte,
come se fosse la voce del nostro destino:

Fu là, davanti al tuo altare
che mio padre e mia madre un giorno si sposarono,
e là, nella fonte battesimale
che mi hanno battezzato cristiano 

Mi sento puro, tornato pulito come te,
di dentro ed di fuori,
mi metto le ali, e salgo,
con il suono della tua campana, pregando,
per tutti quelli che se ne sono andati
e che ci hanno lasciati qui…



COMMENTO

Sergio si riferisce all’unica chiesa di S.Vicente patrona della medesima isola. Penso che questo poema, del tipo universalista dovuto al tema, lascia trasparire la religiosità e la fede del poeta, la sua credenza e fede in Dio.



CARNAVAL

Ḗ Carnaval! … Sanvcênte já mascará
d’ilusão, sê miséria, ma sê dôr:
E sperança d’vêrde, sônhe d’graná,
proméssa d’marêle … E cada côr,

e cada máscara, ta bá ta passá
pa bô, num garaiáda, num dsafôr!
E calóde, já b’oiál! ̶ ̶ ̶ Tê Faná,
pôste lunéta, ta mascaróde d’Datôr! …

Ma fésta ta cabá, e cada qual,
tróde quêl rôpa, quêl máscara, o quêl
nariz pôstice, ta fcá fóra d’têmpe.

Apôs, ê péna! Ḗs tá na sês papêl!
Agóra, ê sô que metê nôte Carnaval:
Nêss que ta tchmóde Vida, e que ta durá tude sêmpre …

Sergio Frusoni



CARNEVALE

È Carnevale!... S.Vicente si è mascherata
d’illusione, della sua miseria e del suo dolore:
E la speranza vestita di verde, il sogno di granata,
la promessa di giallo … Ed ogni colore,

ed ogni maschera, va passando
da te, in una confusione, con sfacciataggine!
E tu zitto, hai visto! Anche Faná,
con occhialini, è mascherato da Dottore!...

Ma la festa finisce, ed ognuno,
togliendosi quel indumento, quella maschera, o quel
naso posticcio, rimane fuori dal tempo.

Poi, peccato! Sono ritornati nelle loro parti!
Adesso, rimane solo mettersi in un altro Carnevale:
In quello che si chiama Vita, e che dura per sempre …


RASPA
Um dáta de novidáde, êss’ óne pa Carnaval!
M’ otchá graça ê um dança nóva que jás ranjá.
Sê nome ê: RASPA. Inda besôte c’ oiás dançal?
Ôme! Ē p’ um pessôa rì, rì, tê rebentá!...

Ca comparóbe um sala, não, ma um curral:
Ē carnêr ta dá de tchife, mula ta respingá…
(--- Bì! Cosa daquel, que manêra m’ ha tcmál?---)l
Tôque êl ca ê… dança êl ca ê… ê sô raspá.

Raspá cô’ pê na tchôm, c’ um fórça, ma ‘cum fúria,
móda catchôrre na guerra!... E ês ca crê ôte péça!
Valsa ê pa gênte bedje, --- ês sta dzê --- “ morna “ um lamúria…

Mim antôm m’ t’ otchá, cma quem dançá raspa,
ca devia raspá na tchôm, ma na cabéça:
Sê ca tá parcê miôle, ca tá faltá caspa…

Sergio Frusoni

RASPA

Molte novità quest’anno, per il carnevale!
Ho trovato buffo un nuovo ballo che è uscito.
Il suo nome è: Raspa. Ancora non l’avete visto ballare?
Uomo! È per fare ridere la gente, fino a scoppiare!...

Non sembra di essere in una sala, no, ma in una stalla:
Montoni che danno cornate, il mulo che scalcia …
( Beh! Cosa del genere come la dovrei chiamare? )
Musica non è … ballo non è … è solo raspare.

Raspare con i piedi per terra, con forza, con furia,
come cani in combattimento!... E la gente non vuole altro pezzo!
Il valzer è per gente vecchia,  così dicono  la “morna” una lagna …

Allora io penso, che per chi balla la raspa,
non dovrebbe raspare per terra, ma in testa:
Se non appare il cervello, non mancherà la forfora …





NHÔ SEVERINE
Nhô Severine, mitide na rôpa fina,
cabêl partide pa lóde e de flôr na peite,
ti ta conversá má sê cmáde Justina.
(Cmáde ê bôa e êl crê fazê sê gête):

̶ ̶ Palavra, cmáde! Bocê foi sempre nha sina!
Dom de bocê fála, ê um consolança, um gôste!
Ma ônte de nôte m’ oiá bocê num squina
na conversa ma um flóne, sem nium prupôste …

̶ ̶̶ ̶ Uah! … Compáde tive ta sprêtóme? Ôme, crêde”
na mêi daquêl geáda! Daquélas hóra! …
̶ ̶ ̶ Duand’ um ôme ê de sangue quente e rije cma mim,

ca tem nada nêsse munde que ta mêtêl mêde!
̶ ̶ ̶ Apôs, compáde, ê mejôr bocê bá embóra,
pamóde quel flóne … ê bocê fidje Muchim! …

Sergio Frusoni



SIGNOR SEVERINE

Il signor Severine, infilato in un vestito elegante,
capelli spartiti da un lato e fiore all’occhiello,
sta conversando con la sua comare Justina.
( La comare è attraente e lui vuole fare bella figura):

Parola, comare! Lei è stata sempre il mio fato!
Il suono della sua parlata, è una consolazione, un piacere!
Ma ieri notte, l’ho vista in un angolo
conversando con un tizio, senza nessun ritegno …

Ahi! Compare mi stavate spiando? Caspita, uomo!
in mezzo a quella rugiada! A quell’ ora!...
̶̶̶̶̶Quando un uomo è di sangue caldo e vigoroso come me,

Non c’è niente in questo mondo che gli faccia paura!
E poi compare, è meglio che se ne vada,
perché quel tizio … era suo figlio Muchim! ...



CABVERDE
Uvi:
M’ quiz cantóbe na guitarra,
ma m’ dsisti.
Flôreóde d’ guitarra ca ta dá
c’ nôs manêra d’ sintì.

M’ sprimentá na violão,
ma ácalê!
Salvóde quês dôs postura qu’ m’ sabê,
fui tude um dsafinaçao.

M’ sprimentá vrá nha fála pulide,
móda um pédra de mar,
stêmide,
móda bô vontáde,
ma mi ê bô fidje, e de bôs fidje,
sô quês qu’ ê dôde ê que ta falá verdade.

M’ vrá antôm m’ calá, ma ca foi de prupôste.
Mi ê bô fidje, e um fidje,
más préga sê mai tiver na rôste,
más êl têl amizáde…

Sergio Frusoni

 CAPO VERDE
Ho voluto cantarti con la chitarra,
ma ho desistito.
Le modulazioni della chitarra non combinano
con il nostro modo di sentire.

Ho sperimentato con il violão (1)
ma ahimè!
Tranne quelle due posture che io so,
è stato tutto una stonatura.

Ho sperimentato a mutare la mia parlata liscia
come una pietra di mare,
senza paura,
come la tua volontà,
ma sono tuo figlio, e dei tuoi figli,
solo quelli che sono pazzi è che dicono la verità.

Allora sono stato zitto, ma non è stato di proposito.
Io sono tuo figlio, e un figlio,
più rughe ha la madre in volto,
più ha amicizia per lei.





FONTE DE NHA SÔDADE

Exe spancadura que bô ti ta uvì,
ca ê roncadura de pómba, nem vôo de pardal.
E bô coraçôm ta crê saì
Dêsse pêite que ti ta pertál.

Pará!
Lì ond’ê que já tive um hórta,
e hôje ê sô um pórta
pa munde de bô ôte idade,
bôs lembrança ti ta speróbe.
Bà, nh’ armôm, bá matá sôdáde!...


     Sergio Frusoni


        FONTE DELLA MIA NOSTALGIA


Questi colpi che senti,
non è il tubare della colomba, nemmeno il volo del passero.
Ѐ il tuo cuore che vuole uscire
da quel petto che lo sta stringendo.

Fermati!
Qui dove c’è stato un orto
e oggi è solo una porta
per il mondo della tua altra età,
i tuoi ricordi ti aspettano.
Vai, fratello, vai a levarti la nostalgia!...

                    
           

CONTRATÓDE


Têmpe das água já tchegá,

e na siguì vôo dêxe andorinha,

nha pensamênte ta vôá

pa quês companhêr de minha

que bá fecônd pra lá…



Amparás, Nossiôr, amparás!

Dás fôlgue pa torná bem pegá

num cóbe d’ enxada;

corája pa torná bem sentá

ta cmê êss pôm d’ pôbréza,

de coraçôm lêve cára levantóde…

Sergio Frusoni

CONTRATTISTI

Il tempo delle piogge è arrivato,
e nel seguire il volo delle rondini,
il mio pensiero vola
per quei miei compagni
che sono rimasti laggiù …

Proteggeteli, Signore, proteggeteli!
Dategli il fiato per ritornare ad afferrare
il manico della zappa;
il coraggio di ritornare a sedersi
a mangiare questo pane della povertà,
con il cuore leggero e faccia alzata …


CUZĂO
Rebêra já carregá
que nhas navisim de papêl…
Vênte já rebentá
que nhas balônsim de sabôm…

Nha tambôr já frá
Nh’ aligria já bá

Cuzão…cuzdois…cuztrês…
Jesus amen!
Ca têm blida… ca têm redáda!
Más um pedrinha e já m’ bá tambêm…
de roçáda!
Sergio Frusoni

  CUZÃO (1)
Il ruscello ha già portato via
le mie barchette di carta …
Il vento ha scoppiato
le mie bolle di sapone …

Il mio tamburo si è bucato …
La mia allegria se n’è andata …
Cuzão cuzdois Custres
Gesù amen!
Non si può muovere, non si può allontanare!
Ancora una pietrina e già vado anch’io …
tutte d’un colpo!...

  
(1) Un gioco che si fa con quattro o cinque pietre di mare o con qualsiasi altri ciottoli arrotondati. Collocati per terra davanti al giocatore, e consiste nell’abilità di prenderli da terra, con una mano, uno ad uno o tutti di una sola volta, lanciando allo stesso tempo per aria il precedente afferrato.
Le regole del gioco: quando non c’è oscillazione, cioè  quando non è consentito oscillare o muovere, solo nella pietra che s’intende prendere da terra: quando non c’è accostamento non è consentito allontanare una pietra dall’altra per facilitare il recupero. Questo gioco era corrente al tempo del poeta e ha continuato fino alla mia generazione.


    REBERA

M’ ca sabê de bô,
nem de fórça dêsse láma
que bô ti ta carregá pa mar.
Sô m’ sabê cma vapôr
Já pitá na baía,
cma aligria d’ ága já rebentá na ar…
   
   Sergio Frusoni

TORRENTE

Non so niente di te,
nemmeno della forza del tuo fango che trascini verso il mare.
So solo che le navi
hanno già fischiato nella baia,
e che l’allegria dell’acqua è esplosa nell’aria… 



 DIA DE FĖRIA

Não, ca tem piada ranjá farnél,
metê na córre e largá pa tcháda.
Sábe ê bô sentá ta cmê
quêl midje assóde ma quêl pápa que lête,
ô quêl rabim de tchuc
c’ aquêl fejôm pédra malaguetóde…

Cabá, da tarde, metê na rebêra
t’ uvì  ága ma pardal cantá,
ô subì na tôpe dalgum ladêra,
pa bá dscubrì mar, ô oiá sôl cambá…


Sergio Frusoni

UN GIORNO FESTIVO

No, non c’è gusto fare il fardello,
mettersi in macchina andare nell’altopiano.
è bello sedersi a mangiare
quel mais arrostito e la polenta con il latte,
e quella coda di maiale
con i fagioli pepati …

Dopo, nel pomeriggio, mettersi in un ruscello
sentire l’acqua e gli uccelli cantare,
o salire nella sommità di una salita,

per andare a scoprire il mare, o vedere il sole tramontare …
        


AMÔR Ē PÔM, BIA

Bô ma amôr, Bia, t’ andá ta crê massá:
Amôr ta pô ága, bô ta pô lénha.
Amôr ta pô sál, bô ta pô farinha.

Má bô côrpe ta levóbe, e bô, bô ta bá,
sempre ta mudá d’ ôme ma de fôgarêr,
sempre ta gastá lénha, e c’ lume pagóde.

Amôr, Bia, ê ága, amôr ê sál,
amôr ê fôrne, amôr ê padêr.
Ma pá ‘l dá pôm, ê c’ lume dmôróde.

E sê pôm, pa quem sabê prêciá,
ta cmide êl ê quente, Bia,
móda “ cuscús “, móda midje assóde…


Sergio Frusoni

L’AMORE È PANE, BIA


Tu e l’amore, Bia, vorresti impastare:
L’amore mette l’acqua, tu metti la legna.
L’amore mette il sale, tu la farina.

Ma il tuo corpo ti porta, e tu, tu vai,
sempre a cambiare uomo e fornello,
sempre a consumare legna, e con il fuoco spento.

L’amore , Bia, è acqua, l’amore è sale,
l’amore è forno, l’amore è panettiere.
Ma per fare il pane, ha bisogno del fuoco lento.

E il suo pane, per chi lo sa apprezzare,
va mangiato caldo, Bia,

così come il “cuscus” (1), così come il mais arrostito …


(1)La farina di mais cotta a vapore dentro di un vaso di ceramica o di terracotta, con alcuni fori nella base dove entra il vapore, proveniente da un recipiente con acqua che si colloca direttamente sul fuoco.



SÔ TRÓDE RATRÓTE

Djódja ta c’ Léla na regóçe.
Êl tá tude ta spiál,
ta ninál,
ta suspêndêl pá bróçe!...
Léla, ca crê sabê!
Sê seita ê metêl môm na pêite.
E tónte já ‘l manobrá, já ‘l rbôlbê,
que um máma já pulá pra fóra
e cardil cara tude
c’ resping de sê lête!
Ma já ‘l certá c’ tornêra,
e de bóca lapóde na êl,
já ‘l tchpá, tchpá, tê que já ‘l fartá!...

El ta tude t’ abrí bóca, agóra,
ta resmungá,
ta lisá quês dôs cabelim
quêl tem na cabéça…
ta spiá pa sê mãi,
ta rí pa sê móne…
e cma êl ta jônjá depressa,
ê sô ruvrá ôi, e… já ‘l bá c’ sône…

Sergio Frusoni

SOLAMENTE FOTOGRAFATO

La Djoja ha Lela sul grembo.
Se lo guarda tutto,
l’accarezza,
lo tiene per le braccia!...
Lela non ne vuole sapere!
La sua ostinazione è di mettere la mano al seno,
e tanto che ha manovrato, e rovistato
che un seno è saltato fuori
e l’ha sporcato tutta la faccia
con i spruzzi del suo latte!
Ma ha già trovato il rubinetto,
e con la bocca attaccata
lui gia succhia, succhia, fino che si è saziato!...

Sta continuamente aprendo la bocca, adesso,
a brontolare,
a lisciare quei due fili di capelli
che ha in testa …
guarda sua madre,
sorride a suo fratello …
e presto rimane intontito,
e basta storcere gli occhi, e … si è addormentato …



PRACINHA

Igreja
Cambra
Rua da Luz
Camim d’ cimter

Um sine ma um pontêr d’ arlôje
tá marcá hora d’ intradma hora d’ saída
na camin de nôs vida…
Porta d’ Madêral
renca d’ cêlha armóde na tchôm
formiga ma mósca
armóde na rósca
armóde na bôl de mel
funguim
ma rubçóde d’ hortalôm…
Ponta d’ praia
marê séca --- maré chêa:
bôte ta corrê pa lórgue
bôte ta dormi na arêa
paquête ta basá fume pa cêu
e reste d’ cmida pa mar
um ctchada de pósse bránc
tá balançá na ar
moda cartuche d’ papêl…

Sergio Frusoni

LA PIAZZETTA

Chiesa
Municipio
Via da Luz
La strada per il cimitero.

Una campana ed una lancetta di orologio
segnalano l’ora di entrata
e l’ora di uscita
nel cammino della nostra vita…
Porta di Madeiral(1)
file di secchie per terra
formiche e mosche
nelle ciambelle
nei dolci di miele
nei funguim (2)
e nei rebuçados (3) di menta…

La punta della spiaggia
bassa marea---alta marea:
barche che si allontanano verso il largo
barche che dormono sulla sabbia
navi che buttano il fumo verso il cielo
e resti di cibo in mare
una grande quantità di uccelli bianchi
oscillano in aria
come cartocci di carta…


(1) Impresa che forniva l’acqua alla città di Mindelo capoluogo dell’isola di S.Vicente
(2) Un composto di farina di mais fine, zucchero o miele,banana, uovo. Dopo l’impasto si fanno dei pezzi che poi vanno fritti
(3) Dolci a base di zucchero con aggiunta di menta.


MNINE D’ SANVICENTE

Já m’ fui mnine d’ nha luta
e d’ nha caláca;
d’ nha bisca e d’ nha batóta
na CORĒ ô na CRACA

Já m’ andá ta vendê;
ta catá;
ta juntá páia;
ta rocegá carvôm;

ta frá da lí ma da lá;
ta dormí n’ arêa,
traz dum cambóta
ô na pedra d’ tchôm.

Já m’ andá embarcóde
d’ foguêr;
d’ crióde;
d’ cuzinhêr;
bem bstide, bem calçód,
t’ oiá munde, ta junta dnhêr…

E já m’ bá e já m’ bem;
já m’ torná bá e torná bem;
e alí’ m lí, de pê na tchôm,
sem um vintem, sem um tstôm,
ta crê torná bá…
ma pa torná bem…

Sergio Frusoni

IL BAMBINO DI S.VICENTE

Sono stato bambino con i giochi della lotta
con quello dello sgambetto,
il gioco delle carte ed il mio barare,
nella Corey (1) o nella Craca (2).

Sono andato a vendere,
a comprare,
ad ammucchiare la paglia;
a raccogliere carbone;

Bucare di qua e di là;
dormire sulla sabbia,
dietro ad una centina,
o per terra.

Sono già stato imbarcato
come fochista;
come inserviente;
come cuoco;
ben vestito, ben calzato,
a vedere il mondo, risparmiando soldi…

Sono già andato e tornato;
Sono andato di nuovo e sono ritornato;
sono qui, con i piedi per terra,
senza un soldo, senza un centesimo,
a volere andare…
ma per ritornare…

(1) Compagnia carbonifera inglese ( Corey and Brothers), che ha dato nome ad un borgo. 
(2) Un borgo di S.Vicente





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